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  • Considerazioni sulla terapia farmacologica

    Nella terapia dei Disturbi d’Ansia il solo impiego di farmaci ad azione direttamente ansiolitica, come le benzodiazepine (BZD), si è dimostrato insufficiente sul controllo dei quadri clinici ed è sempre più diffuso l’impiego di farmaci appartenenti alla classe degli antidepressivi.

    Le benzodiazepine posseggono un effetto ansiolitico diretto ed immediato: riducono l’ansia nel giro di 20-30 minuti dall’assunzione per effetto della loro azione sul neurotrasmettitore GABA.

    L’effetto è rapido e marcato nei confronti della sintomatologia ansiosa acuta, come nell’Attacco di Panico, ma è certamente molto meno incisivo nel trattamento a lungo termine ed è spesso inefficace in senso preventivo. Ciò è conseguente al fatto che nei Disturbi d’Ansia sono coinvolti, a livello di neurotrasmettitori cerebrali, non solo il GABA, ma anche la serotonina e la noradrenalina ed è per tale motivo che gli antidepressivi che agiscono su questi due neurotrasmettitori risultano efficaci nella cura a lungo termine.

    Per alcuni farmaci antidepressivi triciclici è descritta un’azione ansiolitica rapida. In realtà, l’effetto ansiolitico iniziale è più esattamente definibile come sedativo. Si tratta di un effetto specificamente antistaminico, efficace per rapidità d’azione, ma privo di reale significato terapeutico in termini di trattamento a lungo termine dei Disturbi d’Ansia.

    Nella maggior parte dei trattamenti con antidepressivi ad azione più selettiva, quali SSRI e SNRI, l’inizio dell’assunzione del farmaco non coincide con un effetto ansiolitico ma, al contrario, con una “Sindrome da Attivazione”, consistente in aumento di vigilanza e di attivazione motoria ed emotiva e della stessa sintomatologia ansiosa. Ciò si verifica nelle prime 2-3 settimane di terapia, durante il tempo di latenza, che è il tempo che intercorre tra l’inizio dell’assunzione degli antidepressivi e i primi miglioramenti dei sintomi depressivi. La sindrome da attivazione è conseguente all’improvviso aumento di disponibilità nelle cellule nervose della serotonina e noradrenalina dopo le prime assunzioni di farmaci e al conseguente aumento della stimolazione dei recettori postsinaptici. Tende all’attenuazione spontanea nel corso del trattamento e risponde, comunque, positivamente all’associazione di benzodiazepine.

    L’effetto degli antidepressivi non è direttamente ansiolitico, in quanto alla singola assunzione di farmaco non corrisponde una riduzione dell’ansia. Il loro effetto si esplica, invece, su quelle condizioni più complesse che sono alla base delle differenti forme cliniche, quali il Disturbo da Attacchi di Panico, il Disturbo d’Ansia Generalizzata e il Disturbo Ossessivo-Compulsivo, in cui è centrale il ruolo della serotonina. Gli antidepressivi agiscono determinando nelle cellule nervose, più precisamente negli spazi intersinaptici, un aumento di disponibilità dei neurotrasmettitori cerebrali (serotonina, noradrenalina) e, a tale aumento, corrisponde un miglioramento dei sintomi dei Disturbi d’Ansia così come del Disturbo Depressivo.

    Protocollo terapeutico

    Vediamo ora il protocollo di applicazione della terapia farmacologia dei Disturbi d’Ansia. Viene di solito utilizzata l’associazione di benzodiazepine e antidepressivi.

    Nelle prime 4-6 settimane viene prescritta la dose minima di SSRI o SNRI per saggiare la risposta individuale e per limitare al minimo gli effetti collaterali.

    All’antidepressivo va associata una benzodiazepina per ridurre i sintomi ansiosi presenti, ma anche per attenuare l’intensità della Sindrome da Attivazione.

    Nei due-tre mesi successivi viene prescritta la dose piena di antidepressivo, la cui entità dipende dalla risposta del paziente durante la prima fase di cura. E’ questo il periodo più importante della cura, quello in cui è lecito attendersi la risoluzione dei sintomi.

    Dal secondo mese di cura la benzodiazepina va, invece, ridotta o possibilmente sospesa.

    Nei tre-quatro mesi successivi, dopo la definitiva scomparsa dei sintomi, si riduce progressivamente la dose dell’antidepressivo, fino alla sospensione completa.

    Si tratta quindi di una terapia a tempo determinato che va sospesa quando i sintomi non sono più presenti.

    Errori nella terapia farmacologica

    Al fine di ottenere il massimo del risultato possibile dalla cura farmacologica, è importante tenere presente che la terapia deve essere affidata alla gestione del medico. Nella pratica giornaliera spesso si riscontrano alcuni errori nella assunzione dei farmaci e i più frequenti sono i seguenti:

    Sospensione precoce

    Il paziente sospende la terapia dopo 6/8 settimane, quando cioè avverte la progressiva riduzione dei sintomi. Spesso tale sospensione avviene in maniera improvvisa, determinando il più delle volte una ripresa, anche violenta, dei sintomi depressivi e ansiosi (“Effetto di rimbalzo”).

    Bisogna tenere presente che, nei due mesi successivi alla scomparsa dei sintomi, è statisticamente frequente una ricaduta per cui i farmaci devono esser assunti ancora per qualche mese dopo la loro scomparsa.

    Va infine ricordato che la sospensione della cura deve sempre essere graduale e sotto controllo medico.

    Continuazione eccessiva

    E’ un errore opposto a quello precedentemente descritto: a volte il paziente continua ad assumere farmaci per anni.

    Ciò si verifica per il timore che la loro sospensione determini la ripresa dei sintomi. E’ come se il paziente facesse il seguente ragionamento: “Stavo male, ho preso i farmaci e i sintomi sono scomparsi. Se adesso sospendo la cura, tornerò a stare male”.

    Si tratta di un ragionamento errato, fondato sulla paura.

    Il senso di una cura farmacologica è quello di fare scomparire i sintomi e, una volta che l’obiettivo viene raggiunto, i farmaci vanno sospesi, tenendo presente che essi agiscono comunque solo sui sintomi e non sulle cause che hanno determinato l’insorgenza della crisi depressiva.

    E’ quindi molto importante fare un lavoro di ricerca di tipo psicologico per individuare e rimuovere le motivazioni di fondo che hanno determinato la crisi, evitando ricadute future.

    Autogestione – Fai da te

    E’ l’errore di più frequente riscontro. Durante una cura farmacologica bisogna evitare di modificare la dose dei farmaci a seconda dello stato d’animo giornaliero. Bisogna tenere presente che gli antidepressivi devono avere una concentrazione ematica costante per potere svolgere il loro effetto e quindi devono essere assunti con regolarità.

    Ansiolitici (Benzodiazepine) per anni

    Altro errore frequente consiste nell’assunzione molto prolungata di ansiolitici.

    È importante ricordare che, se è pur vero che manifestano il loro effetto di riduzione sull’ansia dopo soli 20-30 minuti dall’assunzione, essi determinano comunque, nel corso del tempo, uno stato di dipendenza.

    Inoltre non svolgono nessun tipo di azione antidepressiva in quanto non agiscono sui neurotrasmettitori cerebrali.

    Considerazioni sulla Benzodiazepine

    Le benzodiazepine costituiscono una delle classi farmacologiche più vendute in Italia e nel mondo. L’efficacia clinica, la rapidità d’azione e la maneggevolezza sono le caratteristiche che ne determinano l’elevata prescrizione da parte dei medici di base e spesso degli psichiatri.

    L’uso di una BDZ per il trattamento di uno stato ansioso, privo di un quadro depressivo sottostante, costituisce un intervento spesso risolutivo.

    E’, invece, un errore trattare uno stato ansioso facente parte di una sindrome depressiva esclusivamente con benzodiazepine, senza l’utilizzo di antidepressivi.

    Altro errore frequente consiste nel fatto che, nel corso di una terapia della depressione, i pazienti in mantenimento con antidepressivi da molti mesi continuano ad assumere dosaggi variabili di BDZ prescritte all’inizio della terapia.

    L’uso di BDZ è utile per il controllo dell’ansia, per facilitare i disturbi del sonno o per aiutare a sopportare gli effetti di attivazione di alcuni farmaci antidepressivi, ma essi vanno sospesi nel prosieguo del trattamento.

    Infatti gli effetti collaterali degli antidepressivi si riducono durante la terapia, l’ansia e i disturbi del sonno migliorano in conseguenza della riduzione della sintomatologia depressiva e l’assunzione della BDZ rimane spesso un rituale dal quale il paziente ha paura a staccarsi.

    Nell’utilizzo delle benzodiazepine è opportuno seguire i seguenti criteri.

    Decisione del trattamento: il medico deve diagnosticare un quadro clinico per il quale vi sia una reale indicazione all’uso di una BDZ per evitare l’abuso.

    Scelta della benzodiazepina: la molecola deve essere scelta sulla base delle caratteristiche cliniche e metaboliche, in relazione al quadro da trattare.

    Dosaggi: i dosaggi devono essere personalizzati in relazione alle caratteristiche del paziente e del quadro clinico. L’indicazione è comunque quella di adoperare i minimi dosaggi terapeutici.

    Durata del trattamento: normalmente non dovrebbe superare le 6-8 settimane, anche in relazione alla latenza della terapia antidepressiva.

    Sospensione del trattamento: la fase di sospensione deve essere fatta gradualmente per evitare rare, ma possibili, sindromi di rimbalzo.

    Informazioni più dettagliate sul trattamento farmacologico con gli antidepressivi sono reperibili nel primo libro della Collana di Psichiatria Divulgativa “La cura della depressione: farmaci o psicoterapia”.

    La psicoterapia nei Disturbi d’Ansia

    Psicoanalisi

    La psicoanalisi classica è nata come metodo di cura di alcuni disturbi psichici che Freud descrisse come nevrosi di transfert e tra cui rientravano quadri assimilabili a molti degli attuali “Disturbi d’Ansia”, quali gli attacchi di panico, le fobie, i disturbi ossessivo-compulsivi.

    L’ansia è una componente specifica di tali disturbi e la psicoanalisi è quindi venuta in contatto, sin dai suoi inizi, con il problema del trattamento di tale sintomo.

    In una prima fase della sua produzione Freud considerò l’ansia come un derivato della “libido”, la pulsione di amore, che non potendo trovare una via di scarico a causa dell’inaccettabilità dei desideri, stagnava si alterava. Lo scopo dell’analisi, nei casi nei quali l’ansia era legata a pensieri o desideri rimossi e quindi curabile con la psicoterapia, era di rendere possibile che la libido raggiungesse i suoi scopi, rendendo consce quelle ragioni che ne impedivano la realizzazione. Da qui l’interpretazione come fondamentale fattore terapeutico della terapia.

    Freud suppose che l’ansia, in alcuni casi, non fosse causata da fattori psicologici, ma biologici, come l’assenza di attività sessuale, e come tale non risultasse curabile dalla psicoterapia.

    Successivamente, dopo l’identificazione della nuova concezione strutturale dell’apparato psichico, in Inibizione, sintomo e angoscia (1926) l’Io venne identificato come la struttura psichica sede dell’angoscia, non più spiegata meccanicamente come libido trasformata, ma come reazione dell’Io di fronte alla minaccia di una situazione traumatica.

    Per Freud, a questo punto del suo pensiero, l’ansia aveva primariamente funzione di conservazione dell’individuo. L’insorgenza di un’ansia segnale, come reazione ad eventi e collegata al ricordo di precedenti esperienze, aveva lo scopo di preservare l’Io dai pericoli esterni e interni di origine conflittuale, facilitandone l’adattamento psicologico.

    Secondo la visione psicoanalitica, di fronte a stimoli che costituiscono fonte d’angoscia, vi sono varie possibili evoluzioni:

    – nell’isteria l’impulso viene rimosso e la libido viene convertita in sintomi somatici;

    – nelle fobie la libido viene spostata e proiettata;

    – nel disturbo ossessivo-compulsivo la libido, invece, si ritira dalla posizione edipica e regredisce lungo la via dello sviluppo psicosessuale fino alla fase anale.

    Va sottolineato il fatto che, nel trattamento dei disturbi d’ansia, la psicoanalisi assegna un ruolo molto importante alla relazione che s’instaura tra il paziente e l’analista.

    Il processo terapeutico non è “l’analisi di una persona” , “l’analisi di un sintomo” o “l’analisi di un disturbo”, ma si tratta di una relazione nella quale è in gioco la interazione, se pure asimmetrica, fra due persone e nella quale il prendersi cura ha un significato preminente.

    Psicoterapia breve

    Un altro tipo di terapia psicologica utilizzabile per i disturbi d’ansia è la psicoterapia breve, il cui obiettivo primario consiste nella riduzione dei sintomi che compromettono il funzionamento sociale e lavorativo.

    Il modello teorico di riferimento è quello psicoanalitico, ma se ne distingue per le seguenti differenze:

    – l’intervento è limitato ad un ambito più ristretto e non alla personalità globale;

    – il metodo d’indagine è costituito dal colloquio e non dalla libera associazione;

    – lo strumento principale d’intervento è la chiarificazione e non l’interpretazione.

    Nei confronti della psicoanalisi vi sono anche differenze formali: la durata del trattamento è più breve, la frequenza delle sedute è ridotta, la posizione è quella del vis à vis e il terapeuta è più attivo.

    Oltre la psicoanalisi e la psicoterapia breve, vi sono altri tipi di intervento psicologico che verranno descritti nei successivi paragrafi relativi ai singoli disturbi.

    Va comunque tenuto presente che, nel caso dei Disturbi d’Ansia, l’indicazione del tipo di trattamento psicoterapeutico non dipende dalle caratteristiche cliniche del disturbo, ma da altri elementi quali la struttura di personalità del paziente ed i suoi meccanismi di difesa prevalenti, la motivazione al trattamento, l’età, la capacità di lavoro psicologico, la possibilità di relazione con il terapeuta.

    Psicoterapia del Disturbo da Attacchi di Panico

    Nella cura psicoterapeutica del DAP va segnalato il trattamento cognitivo-comportamentale basato su un modello teorico che pone all’origine del panico l’interazione di elementi cognitivi, comportamentali e fisiologici.

    Secondo tale modello gli attacchi di panico sono scatenati da sensazioni somatiche o da processi mentali in sé innocui, ma che divengono, in un soggetto predisposto, stimoli per una risposta di ansia acuta. In particolare il ruolo di stimolo iniziale viene giocato da quelle sensazioni quali palpitazioni, dispnea e lipotimie, che si prestano maggiormente ad essere interpretate dal soggetto come segni di imminente pericolo per la propria salute fisica e/o psichica. Il pericolo, elaborato dal paziente secondo schemi cognitivi distorti, assume proporzioni catastrofiche ed è incentrato sulla paura di morire, di impazzire, di perdere il controllo. Si stabilisce quindi un feedback tra la percezione di sensazioni interne, la loro associazione con sensazioni di minaccia e la risposta ansiosa del paziente, che a sua volta porta ad ulteriori e più intense sensazioni in una rapida escalation di gravità, fino al vero e proprio attacco di panico.

    La finalità generale del trattamento è quella di interrompere il circolo vizioso del panico fornendo al paziente informazioni ed esperienze correttive.

    Psicoterapia del Disturbo d’Ansia Generalizzata

    Oltre la psicoanalisi e la psicoterapia breve, nel trattamento del Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) può anche essere utilizzato un tipo d’intervento che prevede essenzialmente l’impiego di tecniche di rilassamento. La tecnica più semplice e storicamente più antica è quella del training autogeno che consiste nell’istruire il paziente a percepire, con appropriati esercizi, i propri livelli di tensione muscolare e, in un secondo tempo, a rilassare progressivamente ogni singolo gruppo muscolare.

    Un altro importante filone di interventi è costituito dalla psicoterapia cognitiva, che si basa sul riconoscimento da parte del paziente, con l’aiuto del terapeuta, di quei pensieri automatici negativi ed irrealistici che accompagnano e favoriscono l’insorgenza dell’ansia, per sostituirli con processi cognitivi più realistici ed appropriati. A tale scopo possono essere utilizzati vari strumenti tecnici: diari in cui il paziente registra i suoi pensieri in situazioni ansiose, induzione dell’ansia in seduta, “role-playing” (letteralmente: “gioco di ruolo”), consistente nel recitare e reinterpretare le situazioni ansiogene in seduta.

    Psicoterapia del Disturbo Ossessivo-Compulsivo

    Oltre l’intervento psicoanalitico, nella terapia del DOC viene anche utilizzata la terapia cognitivo-comportamentale e la psicoterapia cognitiva.

    Secondo il modello comportamentista, la compulsione costituisce la risposta all’ansia evocata dallo stimolo-ossessione. La messa in atto del rituale compulsivo non fa che rinforzare, riducendo temporaneamente i livelli di ansia, la sintomatologia ossessivo-compulsiva stessa. Scopo delle tecniche comportamentali è interrompere la sequenza ossessione-ansia-compulsione, dissociando l’idea ossessiva dall’ansia con tecniche di esposizione e/o bloccando il rinforzo negativo costituito dalla risposta rituale. Le tecniche di esposizione usate nella terapia del DOC comprendono la desensibilizzazione, l’intenzione paradossa e la tecnica di “satiation” (letteralmente: “saturazione”).

    La desensibilizzazione viene impiegata allo scopo di impedire l’evitamento, che costituisce uno dei principali meccanismi di rinforzo del sintomo fobico-ossessivo. L’esposizione allo stimolo viene condotta sottoponendo il paziente all’oggetto o alla situazione che induce le reazioni compulsive. Per intenzione paradossa s’intende una tecnica che mira a scardinare il pensiero ossessivo attraverso l’invio di messaggi anomali e inaspettati per il paziente, paradossali, quali il pensare attivamente e il cercare volontariamente l’idea ossessiva parassita. La tecnica di “satiation” consiste nell’esporre il paziente alla propria ideazione ossessiva, scritta o registrata, per periodi prolungati di tempo per provocare una sorta di saturazione e di abitudine. Il trattamento comportamentale d’elezione nel DOC consiste nell’associazione di più tecniche di esposizione. Le sedute sono generalmente 10-15 (contro le 25 minime che si rendono necessarie nel caso si impieghi solo una tecnica di esposizione), la frequenza settimanale del trattamento è invece molto variabile, da 1 a 5, con una durata di circa un’ora.

    La finalità della psicoterapia cognitiva è l’individuazione e la ristrutturazione del sistema di convinzioni e di regole decisionali che induce il soggetto ossessivo a valutare cognitivamente determinate situazioni, quali ad esempio quelle che possono essere fonte di minaccia per l’integrità dell’immagine di sé.

    La durata media di un intervento psicoterapico cognitivista nel DOC è compresa tra i 6 mesi e i 2 anni, con una frequenza di uno o due incontri settimanali.

    Psicoterapia della Fobia Sociale

    Nella terapia della FS possono essere utilizzate tecniche comportamentali di esposizione, allo scopo di decondizionare l’ansia dalla situazione fobica con procedure di esposizione graduale, sia in vivo sia utilizzando la rappresentazione mentale della situazione temuta.

    Alle tecniche di esposizione possono o meno essere associate tecniche di rilassamento, utili a disinibire le abilità sociali del paziente.

    Gli interventi di ristrutturazione cognitiva sono invece focalizzati sulle specifiche e sistematiche distorsioni che il paziente applica nell’analisi delle situazioni sociali. Il trattamento ha lo scopo di correggere la valutazione ipercritica del proprio comportamento e favorire un riequilibrio della sua attenzione, troppo concentrata sulle sue reazioni interne, verso una valutazione più appropriata e realistica della situazione temuta.

    Psicoterapia della Fobia Semplice

    La Fobia Semplice è probabilmente il disturbo psichiatrico che ha ricevuto la maggiore attenzione da parte del comportamentismo. Il trattamento di scelta è quello di esposizione allo stimolo fobico (oggetto o situazione) e consiste nell’incoraggiare il paziente al confronto con la situazione ansiogena. La desensibilizzazione sistematica consiste nel mettere il paziente a confronto con una serie di situazioni ansiogene correlate allo stimolo fobico. Tale serie prevede una gerarchia di situazioni, dalla meno alla più ansiogena, che il paziente viene invitato ad esperire mentalmente, fino ad ottenere la progressiva riduzione della risposta ansiosa allo stimolo. L’esposizione d’urto (“flooding”) consiste invece nel sottoporre il paziente allo stimolo per lui maggiormente ansiogeno per un periodo di tempo prolungato, fino a ottenere una diminuzione dell’ansia; l’esposizione, sempre immaginativa, viene ripetuta più volte fino all’estinzione della risposta ansiosa. È evidente come l’alto grado di stress provocato da tale procedura limiti il trattamento a pazienti altamente motivati e ben preparati. Altre tecniche di esposizione allo stimolo fobico prevedono invece l’esperienza terapeutica diretta (esposizione “in vivo”): anche questa può avvenire in forma non progressiva e di lunga durata, con comprensibile reazione di notevole stress per il paziente, oppure in forme in cui l’esposizione è più graduale e il terapeuta assume una posizione di rassicurazione e/o di rinforzo. Le tecniche comportamentali di esposizione possono essere applicate individualmente o in gruppo. In quest’ultimo caso l’esempio e l’incoraggiamento degli altri partecipanti costituiscono un rinforzo ad affrontare la situazione fobica.